Il mio lockdown alternativo in Malaysia

Il 19 Dicembre 2019 compro il mio biglietto A/R per la Malaysia, un viaggio bellissimo da iniziare il 5 Marzo 2020, e per 18 giorni (inclusi i 2 di volo per andare e tornare).

Il programma prevede:

Il viaggio lo strutturo in modo che possa fare 8/9 giorni di viaggio itinerante e 7 giorni di “vacanza” al mare, dove riposare e ricaricare le energie prima del rientro. I giorni di viaggio prevedono le mete “must”, dove poter vivere la cultura del paese, la storia, la religione, i siti più importanti, i classici, ma anche le attività che a me piace definire “fuori dal comune” (come ad esempio un corso di cucina locale un’esperienza di supporto nei santuari per gli animali LIBERI). Gli ultimi giorni invece sono da passare su un’isola paradisiaca, con mare trasparente, sabbia bianca, coralli, fauna e flora degni di nota, un piccolo centro cittadino con i mercatini night & day, artisti da strada, street food e tramonti da sogno.

Il programma prendeva vita, il 25 Dicembre prenoto anche gli hotel (ormai ho imparato che prenotarli un paio di mesi prima del viaggio,  e prima del capodanno, mi da accesso a tante offerte e ad una scelta più ampia, caratteristiche che dopo il Capodanno decadono, un hotel carino e in una zona ideale riesce a rincarare dalle 10 alle 25 euro a notte).

Al 29 Dicembre tutto era gia pronto: il volo intenazionale, i voli interni (che in Asia ti permettono di andare sù e giù anche con 15/30 euro a tratta), i traghetti, gli hotel e le escursioni.
Perfetto! Se non fosse per l’annuncio di un virus che dilaga per la Cina, provocando malattia, morte, panico e la chiusura totale di alcune regioni cinesi.

Ops! E mo’ che si fa?

Da lì inizia uno studio approfondito della cosa, che a paragone manco il miglior virologo del mondo.

Iniziamo così a leggere, a capire cosa fosse, se realmente c’era da preoccuparsi così tanto. Ricordate?!? All’inizio c’erano molteplici considerazioni a riguardo:

“E’ una banale influenza!”, “E’ una teoria complottistica”, “Chissa’ cosa sta nascondendo la Cina” (povera Cina).

Non vi nego che in quel momento, avendo investito circa 1600 euro subito, ho cercato anche io di vedere il bicchiere mezzo pieno (come faccio spesso) e a confidare in qualcosa che, di lì a poche settimane, sarebbe scomparso così come è arrivato.

Ma non fù così.

La situazione in tutto il mondo si aggravava. Si sentiva quasi l’odore di Pandemia, ed intanto decidemmo di togliere Singapore dalla nostra lista (in quel momento era la nazione, in coda alla Cina, con il maggior numero di casi).

Eravamo in 3 e dal 29 Dicembre al 19 Febbraio siamo state lì a discutere sul da farsi.

“Si parte o annulliamo tutto? (avremmo perso buona parte dell’investimento fatto fino a quel momento). Oppure partiamo con tutte la precauzioni del caso e vada come vada?”

Una delle mie compagne di viaggio, a metà Febbraio, decide di rinunciare. Restiamo solo in 2 a “ballare l’hully gully” e noi, assolutamente con una marcata dose di follia, decidiamo di partire comunque.

Il 5 Marzo ci imbarchiamo per la Malaysia. Il viaggio prevedeva Catania-Roma-Abu Dhabi-Kuala Lumpur. Il volo da Catania a Roma non ci ha fatto avvertire grandi differenze, era alle 6 del mattino, pertanto la scarsa affluenza di passeggeri era quasi giustificata, ma quando a Roma siam salite sul volo internazionale di Ethiad, che in genere non ti lascia neppure lo spazio di un gomito sul bracciolo, ed era VUOTO, ci siam rese conto che il rischio di un viaggio all’estero stava producendo i suoi effetti. Su quel volo eravamo forse in 15 persone; a nostra disposizione intere file di posti e gli altri passeggeri li vedevamo raramente, solo se passavano per andare al bagno, poi non vi era traccia di loro sull’aereo. Volo piacevolissimo, cibo ottimo, vino di qualità, film e intrattenimento, gambe comode, cuscino, coperte, mascherina per gli occhi: il volo piu’ comfort che io abbia mai fatto in classe turistica.


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Lo scalo ad Abu Dhabi è stato in notturna, poca gente in giro, chi dormina beatamente sulle chaises longue dell’aeroporto, chi come me a trottellare in giro “assaggiando” già i primi sentori di esotico.

Quando siamo arrivate a Kuala Lumpur, e per i giorni successivi, non abbiamo avvertito l’allerta Covid-19; indubbiamente il turismo era carente, incroci super trafficati erano liberi, non troppi turisti nei luoghi di interesse e di culto, ma tutto era comunque ancora in attività: il viaggio è iniziato bene.

Eravamo attrezzatissime: mascherine, gel antibatterici, guanti in lattice. Inoltre, mani pulite ogni 15 minuti nelle meravigliose toilettes asiatiche (un chirugo qualsiasi ci faceva un baffo), taxi per gli spostamenti (in Asia costano davvero poco, ci si sposta con 1 euro, al massimo 3, per un tragitto in città). Cercavamo di tutelarci quanto più possibile nella condivisione degli spazi.

Dopo qualche giorno a Kuala Lumpur ci siamo spostate a Penang con un treno super veloce…lì abbiamo iniziato ad avvertire i primi “disagi da virus”.

Il treno era stracolmo di pendolari e qualche turista, tutti seduti uno di fianco all’altro; da ogni dove provenivano starnuti e colpi di tosse che inevitabilmente portavano a girarsi verso la loro direzione e guardare in cagnesco. La cosa che ci ha fatto andare fuori di testa era la presenza di un ragazzino, 16 anni forse, in cattivissimo stato di salute (naso colante, tosse, raffreddore), che percorreva i corridoi dell’intero treno, avanti e indietro, proprio il tempo di arrivare da una punta all’altra, toccando con le sue mani zozze ogni cosa.

Da lontano lo si vedeva arrivare, con le mani nel naso o in bocca, e lo si vedeva poi toccare i braccioli, i poggiatesta, e persino le teste dei passeggeri.

Il ragazzo chiaramente non stava bene, mentalmente e fisicamente, ma con tutta la compassione che ogni indivuduo ha nel cuore, arrivavano ammonimenti da ogni parte. E quando lo si scorgeva si sviluppava una reazione a catena che portava i passeggeri lato corridoio a gettarsi letteralmente sul vicino di posto (io avevo accanto una studentessa carina, educata e, cosa più importante, senza tosse).

Georgetown-Penang vuota! E’ un centro culturale frequentatissimo, un’isola dove l’arte, il cibo e la cultura malese fa da padrone…ma è vuota. Strana sensazione, perchè dai video visti sul web, e dai racconti di altri viaggiatori, generalmente è affolata, sempre in festa. Il 90% dei ristoranti chiusi la sera, o chiusura entro le 21,30, dopo quest’ora il silenzio totale. Non era la Penang che ci aspettavamo, siti chiusi, trasporti bloccati, e così decidiamo di modificare ancora una volta il nostro viaggio: le 3 notti a Penang si trasformano in una sola e l’indomani prendiamo un traghetto per Langkawi, che nel frattempo aveva guadagnato più notti rispetto all’unica prevista dal programma iniziale.

Con assoluta franchezza ci siam dette che, nonostante il viaggio stesse subendo evidenti cambiamenti, potevamo ancora recuperarlo concentrandoci più sul mare e, a malincuore, rinunciando alla “cultura”.

Passiamo 3 notti a Langkawi in un piccolo eco-resort delizioso, fronte mare, con una vegetazione fittissima, si chiamava “Frangipani” e, ovviamente, centinaia di alberi di Frangipani profumati facevano da cornice. Abbiamo girato un pò l’isola, pochissimo in realtà, perchè se fino a quel momento ci sentivamo libere e sicure dal Covid, questa certezza era contrariata dagli ultimi avvenimenti. Abbiamo visitato uno degli street market più famosi della Malaysia, come da mio programma, ma quando siamo arrivate lì lo abbiamo attraversato come fulmini, scappando velocemente dall’affluenza di un mercato asiatico, dove le condizioni igieniche precarie, seppur tollerate in altri viaggi, non erano più condizioni propizie. Più veloci della luce abbiamo percorso l’intero Night Market, rinunciando al cibo appetitoso e profumato che, per 20 centesimi o al massimo 1 euro, ci chiamava dalle bancarelle.

Inoltre, in un mercato asiatico, con 45 gradi, la gente suda,  e pure parecchio, e non si cura se con  il proprio braccio, zuppo e scivoloso, sfiora la spalla di uno sconosciuto. In cinque minuti ci capitò 3 volte: panico e disgusto.


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La sera dell’ 11 Marzo, ultima sera a Langkawi, andiamo a cena in un ristorantino malesiano, dove abbiamo assaggiato di tutto e dove, prima di rientrare in camera, salutarci, preparare i bagagli per l’indomani, lasciare Langkawi per entrare in Thailandia, controlliamo il sito della Farnesina per eventuali aggiornamenti. E’ tutto ok, bene, paghiamo il conto, rientriamo in resort e buonanotte. L’indomani mattina ci incontriamo nella hall, chiamiamo uno dei nostri amatissimi taxi a pochi spiccioli (si chiamano Grab, prenotabili tramite omonima app, che ti mostra quanto costa, quale auto, chi e quando verrà a prenderti), e dopo 15 minuti siamo dentro la dogana per traghettare in Thailandia.

Compiliamo il visto e consegniamo i passaporti restando in attesa del nosto turno. Dopo poco veniamo convocate da un funzionario di dogana che ci informa che non possiamo entrare in Thailandia, perchè da quel giorno la frontiera viene chiusa agli italiani, ci chiedono di aspettare e trattengono i nostri passaporti.

Ops! C’è qualcosa che non va.

Mi collego al sito della Farnesina e scopriamo che da giorno 11 l’Italia è entrata in zona rossa.

Stupore assoluto. Fino a quel giorno avevamo evitato quanto più possibile di leggere notizie. Avevamo stabilito, un pò egoisticamente, di non farci bombardare dalle informazioni, per poter procedere nel viaggio serenamente. Avevamo vietato anche alle nostre famiglie di informaci in modo approfondito. Ma scopriamo che la notte prima viene proclamata la chiusura della regione Lombardia, portando molta gente ad evadere per raggiungere i propri familiari nelle altre regioni; questo fuggi-fuggi ha messo in zona rossa l’Italia intera e molte nazioni hanno iniziato a chiuderci le frontiere. La Thailandia è stata tra le prime, vedi tu la fortuna, e il tutto in una sola notte. Velocissimi i thailandesi.

Il problema adesso è un altro. Ok, non possiamo entrare a Koh Lipe, troveremo un’alternativa, ma ridateci i passaporti. Non è stata cosa semplice. Volevano trattenerli e rimpatriarci immediatamente, cosa poco fattibile sul momento, così abbiamo raggiunto l’accordo che, uscite da lì, ci saremmo recate a Kuala Lumpur e tornate immediatamente in Italia. Cosa poco fattibile anche questa.

Uscite da lì, intorno a mezzogiorno, ci siamo fermate da StarBucks per un caffè. La mia compagna di viaggio si è accomodata, sfiancata e triste, io ho lasciato a lei le mie valigie, con l’intenzione di “smuovere il mondo intero”. Ho contattato a raffica l’ambasciata italiana a Bangkok, quella a Phuket, la Farnesina, telefonate alle autorità competenti e decine di email. Io volevo entrare in Thailandia, volevo spiegare che ero già in Malaysia quando l’Italia è entrata in zona rossa, ma non rispondeva nessuno in modo esaustivo. Il credito del telefono è teminato, faccio un giro per i negozi chiedendo se mi facessero fare una telefonata all’ambasciata italiana in Malaysia, ma niente! Un commesso mi ha risposto che avrei potuto ricaricare il credito. Ma và!! Che genio! Io non volevo ricaricare una scheda malese, non volevo più prelevare in valuta locale, IO volevo entrare in Thailandiaaaa. Ma pazienza!

Alle 17 finalmente “pranziamo”, con i nervi a pezzi concordiamo che il nostro viaggio deve continuare, prenotiamo un altro resort meraviglioso, e decidiamo di concludere il nostro viaggio sulla spiaggia di Langkawi, che non sarà mai la paradisiaca Koh Lipe ma ci ha fatte entrare nell’atmosfera “Mi sento a casa e ci resto”.

Scegliamo un resort meraviglioso che dovrà compensare le nostre sventure, il “Pelangi Beach Resort & SPA”. Un sogno.

L’indomani anche la Malaysia entra in Lockdown, come l’Italia, e viene proclamata Pandemia mondiale. Tutto chiude, il volo di ritorno viene cancellato, i contatti con l’ambasciata diventano assidui, a tutte le ore del giorno, manco fosse il mio amante…e in tutto ciò la mia compagna di viaggio, completamente fuori dalla realtà, non metteva a fuoco l’ipotesi “RESTEREMO BLOCCATE IN MALAYSIA”.

Lei non risultava essere nelle liste degli italiani in Malaysia, perchè non ha mai comunicato alla Farnesina il suo itinerario di viaggio, cosa da fare SEMPRE, tramite il sito “Dove Siamo nel Mondo” , prima di partire. Pertanto non riuscivano ad inserirla in alcun papabile volo di rimpatrio. Anche questa è stata una grande sfida. Dopo 3 giorni si è finalmente decisa a comunicare i propri dati all’Ambasciata italiana a Kuala Lumpur. Tra la lettura di un libro, uno scarafaggio in camera, un sonnellino, un’asciugamano mancante, un rimborso tardivo, un cambio camera, un secondo cambio e anche un terzo, una colazione in santa pace, cose evidentemente più importanti (e beh…la vita è fatta di priorità), ha “trovato il tempo” per comunicare ufficialmente la sua presenza in territorio malese. 

Il governatore malese ha lasciato un giorno di “apertura” in più alla popolazione, per poter far scorta di beni di prima necessità. Vi dico che i malesi ne hanno fruito con grande parsimonia, ma noi ne abbiamo approfittato sbancando supermercati e 7-Eleven.  Abbiamo acquistato tonno, cereali, vino, yogurt, piatti, tovaglioli e posate in plastica, snack e bevande varie, sandwich, frutta, formaggi e simil-salumi. E rientriamo in resort, ognuna nel proprio appartamento, con una scorta da far invidia ad un rifugio nucleare.

Nel frattempo l’ambasciata italiana a Kuala Lumpur, ogni giorno, ci suggeriva vari voli “confermati”, che avrebbero permesso il rientro in patria; peccato che dopo averli acquistati, in poche ore, venivano cancellati. Non c’era più modo di tornare in Italia con un aereo.

Ad un certo punto arriva anche un nuovo suggerimento: provare ad entrare nell’area di Schengen, l’Olanda sarebbe stata perfetta, e con un auto a noleggio far rotta verso l’Italia. Assurdo lo so, ma provammo anche quello. E anche quel volo venne cancellato.

Ci rassegniamo, o forse volevamo dar fine a quello sperpero economico inutile, e restiamo a Langkawi, godendoci il mare al mattino e dopo pranzo, per me, iniziava il tramtram di telefonate e email.

Dopo qualche giorno il resort chiude ufficialmente, manda via tutti gli ospiti presenti di nazionalità malese e limitrofe, lasciando all’interno solo quei turisti che non sarebbero rimpatriati presto. Inoltre il decreto locale diceva che se un turista avesse lasciato il suo alloggio non vi poteva più fare rientro, ed entro 24 ore doveva lasciare l’isola e avvicinarsi all’aeroporto intenazionale per tentare soluzione di rimpatrio. Noi siamo rimaste nel nostro bel resort, al sicuro, all’aria aperta, con le nostre scorte da rifugio anti-atomico, in attesa di sviluppi.

Non avevamo molto tempo per seguire le vicende in patria, non sapevamo cosa stesse succedendo, e in realtà non avevamo molta voglia di appesantire ulteriormente i nostri cuori. Vivevamo il dramma di non riuscire a tornare in Italia, i voli cancellati, spese da affrontare, carte di credito bloccate. La mattina volevo riposare, “spegnere” il mio cervello, era una situazione assurda ma ero pur sempre in Malaysia e in vacanza, sapendo che dopo poche ore ricominciava l’iter di telefonate, email, compra biglietto, perdi biglietto, comprane un altro, nervi saldi, nervi a pezzi, amministrare le finanze, trovare alternative.

Per fortuna tutto questo e’ avvenuto da una meravigliosa camera, sulla sabbia e fronte mare, che ho scelto appositamente, quasi avendo già il sentore amaro che tutto sarebbe peggiorato. Quindi mentre discutevo al telefono con funzionari vari stavo con i piedi in acqua, guardando un barracuda quà o un pesce palla là…felice a metà.


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Un giorno ci viene comunicato che l’indomani notte avrebbero rimpatriato i 67 italiani bloccati in Malaysia, con un volo d’emergenza messo a disposizione del governo malese. Dovevamo subito raggiungere Kuala Lumpur. E così diamo disdetta al resort, con promessa di rimborso, compriamo l’unico volo disponibile che, l’indomani all’alba, da Langkawi può portarci nella capitale, a 250 euro e in prima classe. Oltre al danno anche la beffa. Generalmente un volo Langkawi-Kuala Lumpur costa in media 20/30 euro.

Arriviamo all’aeroporto della capitale e aspettiamo. Era mattina presto, il volo sarebbe partito a mezzanotte, quindi ci siamo trasformate in piccole Tom Hanks come in “The Terminal”. Lì ci siamo lavate, cambiate più volte (freddo/caldo, caldo/freddo), abbiamo dormito, mangiato e fatto shopping nell’unico drugstore aperto. Ci si accontenta con poco.

Alle 20 ci comunicano che il volo non partirà. Il governo non può rimpatriarci senza tampone Covid e senza un contributo da sostenere; dobbiamo trovare alloggio per la notte e restare “a portata d’orecchio con l’Ambasciata”, senza più alcuna certezza, senza capire cosa sarebbe successo da quel momento in poi.

Quella sera ebbi il mio primo e vero crollo di nervi, che se non avessi smesso mi avrebbero arrestata (in Asia ci vuole veramente poco per essere arrestati, anche solo alzare il tono della voce, ed io in quel momento ero un tuono).

Raggiungiamo alcuni connazionali a Kuala Lumpur, ai quali è stato consigliato di raggrupparsi tutti nello stesso hotel, uno dei pochi disponibili rimasti aperti e che avrebbe accolto gli italiani. Così conosciamo gli altri avventurieri sventurati e le loro storie, alcune davvero brutte (cacciati dagli hotels in cui si trovavano in quanto italiani). Nel corso della serata ci si infervora gli uni con gli altri e si decide: “Domani sit-in davanti l’ambasciata! Devono riceverci. Devono trovare una soluzione”. Io, ovviamente in prima fila, reduce dal crollo nervoso in aeroporto.

L’indomani, per fortuna, rinsavisco! La forza e la prevaricazione non portano a nulla…e poi è domenica, forse l’ambasciata sarà chiusa. Non partecipo a questo sit-in, piuttosto cerco un altro hotel più confortevole, con una cucina, un balcone e un bagno decentemente spazioso, dove poter fare il bucato. Non sapevo quanto ancora sarei rimasta lì. Inoltre era proprio il caso di dissociarmi da cattivi fervori. Volente o nolente, la mia compagna di viaggio si accoda e cambiamo hotel.

Siamo rimaste lì per il resto del lockdown, al 20° piano di un grattacielo, in camere distanziate, con un documento che ci permetteva di poter uscire per acquistare beni di prima necessità, mentre la città era deserta e i militari pattugliavano le strade con i megafoni, intimando la popolazione a non uscire di casa.

Anche in questo caso un pizzico di positività per noi: giravamo per le vie deserte con serenità. Banche, supermercati, panifici, 7 Eleven, io ho anche fatto una puntatina alle Towers. Raggiungevamo i connazionali quando l’Ambasciatore doveva parlarci e continuavamo ad utilizzare i nostri economici Grab che, dal nostro hotel al loro, costavano dai 60 cent a 1 euro a tratta.

Il cibo veniva ordinato a domicilio, con Panda Food o Grab Food, i nostri equivalnti di Presto Food e similari. Questi Runners sfrecciavano, in scooter, per tutta la città a portar cibo, solo nel nostro hotel li incontravano anche più di 10 volte al giorno; si scendeva giù, si ritirava il pacco e si tornava su, segregate, a mangiare. La città deserta appartaneva ai militari e ai Runners.


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Un pasto medio costava circa 1,50 euro, il pasto più complesso che ho ordinato era composto da: 3 donuts, 1 bicchiere gigante di Teh Tarik (bevanda ghiacciata di the e latte che io adoravo), noodles malesiani, un Roti normale ed uno alla banana. Sono simili ad una crepe salata che serve per accompagnare il brodo dei noodle, carni e zuppe. Che il secondo Roti fosse alla banana l’ho scoperto solo quando l’ho assaggiato, difficile tradurre dal malesiano all’italiano, ma è stata una delle cose più buone che io abbia mangiato in Malaysia. Il tutto è costato 4,50 euro.

La Farnesina, il Governo Italiano e l’Ambasciata Italiana non hanno contribuito alle nostre spese, tutto a nostro carico, fortuna che a Kuala Lumpur cibo e hotels di buona categoria fossero a prezzi accessibili: un pasto completo costava in media 3 euro e una notte in hotel di categoria alta circa 30/40 euro, in camera personale. Non dividevo gli alloggi con la mia compagna di viaggio, ognuna nel suo, e oggi posso dire: “Grazie al Cielo”. E’ ancora in atto un’indagine per capire il motivo per cui non sono stati attivati i fondi europei per sostenerci nelle spese.

Dopo qualche giorno si concretizza una nuova opportunità di rimpatrio. Yeahhhhh! Ma ci sono delle condizioni da adempiere:

  • Per poter rimpatriare dobbiamo tutti sottoporci al tampone Covid, a nostre spese, 160 euro, e se anche solo uno fosse positivo nessuno rimpatrierà e andremo tutti in quarantena. Aiuto;
  • Il governe malese chiede un contributo per poter organizzare il volo che ci portera’ in Italia, dove preleverà immediatamente i propri connazionali, bloccati come noi in territorio straniero, per riportarli in Malaysia, al semplice costo di 1300 euro a persona, a carico dei soli passeggeri italiani. Milletrecentoeuroooooooo??? Ma se l’aereo deve comunque partire, per recuperare i “loro” bloccati in Italia, non può darci un “passaggio”? No!! Il volo lo pagheremo noi;

Non sto qui a dirvi tutte le vicende legate a questo pagamento e al tampone da effettuare (tragedie, prestiti, complotti e soluzioni per farci dimunuire la “pena”), ma alla fine della fiera tutto è stato pagato come previsto, senza sconti.
Il 25 Marzo sera, 2 pullman scortati dalle forze dell’ordine, capitanati dalle auto dell’ambasciata e da quella dell’ambasciatore italiano in persona, con tutto il suo entourage di collaboratori, prelevavano  64 italiani bloccati in Malaysia per scortarli in aeroporto. 4 italiani hanno rifiutato  di pagare il “dazio”, sono rimasti lì, sperando che l’Italia li avrebbe “recuperati a gratis”. Avevano un visto turistico in scadenza e con rischio di arresto, perchè presto sarebbero diventetati clandastini, ma dopo 20 giorni  dal nostro rimpatrio non ne abbiamo più avuto notizie.

L’aeroporto è stato occasionalmente aperto per noi, circa 100 militari con fucili puntati e un’equipe medica in stile film “Virus Letale”. Temperatura prima, controllo passaporto dopo, visita medica, il benestare a partire, stampa biglietto, imbarca bagagli non controllati (che se avessi saputo potevo portare con me un Lori Lento , era l’occasione giusta…) e restiamo in attesa, chiusi dentro una grande stanza-plexiglass, di poter finalmente prendere quel maledetto aereo (in realtà era il benedetto aereo).

Con il timore nel cuore e la paura che anche questo rimpatrio sarebbe fallito, finalmente alle 4 del mattino il governo malesiano da l’ok per imbarcarci. Prima di salire in aereo ci consegnano un piccolo kit.

Avete viaggiato in prima classe? Allora avete presente quelle bustine deliziose che le hostess ci consegnano prima di accomodarci, con all’interno: un paio di calzini, una mascherina occhi, tappi per orecchie, mini dentifricio con spazzolino, sapone da viaggio e mini deodorante. Ecco, quello! Solo che il nostro kit conteneva: 5 mascherine chirurgiche, due paia di guanti in lattice, salviettine e gel antibatterico. La cosa ci è sembrata tanto tanto ironica ma azzeccatissima. Abbiamo gradito molto le mascherine, a fine Marzo erano già irreperibili in tutto il mondo.

Il 26 Marzo tocchiamo suolo italiano, ad aspettarci una troupe televisiva e giornalistica, interviste varie, controlli vari. Non ci sembrava vero di esser rientrati in Italia. 

Solo dentro l’aeroporto di Fiumicino abbiamo dovuto compilare cinque autocertificazioni, tutte uguali nel contenuto, ma il personale aeroportuale, e le forze armate, sostenevano fossero diverse. Da un controllo all’altro, ad una distanza di soli 5 metri, l’autocertificazione cambiava, anche se a noi pareva sempre identica.

Cinque autocertificazioni.

Cinque.

E alla luce di questo…Si! Direi che siamo proprio rientrati in Italia.

A presto.

Fabiola

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